martedì, ottobre 11, 2011

HORTA, Azzorre: la magia di un porto in mezzo all' Atlantico,1

Dopo alcuni mesi, ho ripreso a scrivere appunti ed emozioni dei miei viaggi, per fissarli nella memoria del tempo. Di seguito, l' articolo scritto per il mensile di vela BOLINA, pubblicato nel numero di ottobre '11.

Eravamo stanchi di tre giorni continui di bonaccia. Zero vento, mare piatto, letteralmente piatto. Solo un lunghissimo morbido ondulare, con le venature delle correnti di superficie che ne rigavano la superficie come una aurora boreale. Poi ogni tanto arrivava una brezza un po’ tesa, 4-5 nodi, non di più, per 3-4 ore e, maledizione, dritto di prua, giusto per prenderci in giro. Fortuna che c’erano i delfini a tirar su l’ allegria e la eccitazione a bordo; arrivavano da lontano, il primo con due balzi lontani, velocissimo, poi il branco a seguire; in due minuti erano sotto la prua a sfrecciare come stelle filanti dalla bacchetta di una fata. Giuro che ho provato a parlargli, li invitavo a saltare, a non farsi raggiungere dal compagno. Credo mi sentissero: prima di emergere per la fulminea boccata d’aria, si giravano a mezzo dorso in su , mi guardavano e poi via di nuovo sotto la prua. Anjya si era anche distesa a prua e col braccio proteso cercava di accarezzarli: quasi ci sarebbe riuscita, se l’ alzo di prua non fosse stato quello di un massiccio Oyster49.


Mancavano ca. 150 miglia ancora a Faial, la terza isola dell’ arcipelago delle Azzorre per chi arriva da Ovest, quella con uno dei migliori approdi di tutto l’ Atlantico. Le previsioni davano vento in aumento fino a 20-25 nodi a iniziare dalla nottata, da NE - diritto di prua, tanto per cambiare. Avevamo deciso allora di continuare a motore e di puntare su Flores, la prima isola leggermente più a nord di Faial e più vicina a noi; ma poi il vento ha tardato tutta la notte e abbiamo poggiato a Est sperando di fare un bordo molto lungo e con un altro bordo a nord arrivare l’ indomani pomeriggio a Faial.
Invece il vento è rinforzato progressivamente a 30 nodi e girato a NNE ; una mano, e ora cavalchiamo una mare che si è ingrossato progressivamente, incrociandosi con un mare vecchio che non capiamo da dove sia arrivato: ma siamo allegri, finalmente si cammina sui 6-7 nodi a vela, anche se un po’ sbandati e con qualche onda grossa che ogni tanto frange con un tonfo al mascone. A cena, cedo il timone e dopo quattro chiacchiere in pozzetto e un gran sorso d’ ananas, un’ occhiata al barometro, al log e alla carta ( il plotter mi è antipatico: è talmente perfetto e preciso nel tracciare rotta e velocità e distanze che ti fa perdere il gusto della incertezza e della stima della posizione , acc. alla tecnologia!!) scendo sotto e mi tuffo in cuccetta. Il mio turno è alle 5 – un po’ prima dell’ alba, e dovremmo arrivare verso le 7-8 in porto. Invece, mi chiamano alle 4. Qualcosa non mi quadra: la barca è dritta, niente rumore di onde frangenti, motore acceso; esco fuori svelto e davanti a me si spalanca un anfiteatro di luci con i neri altissimi profili dei due vulcani di Faial e Pico , le due isole quasi gemelle che si fronteggiano a poche miglia una dall’ altra: siamo nella baia di Horta, centenario storico approdo per tutti quelli che durante quasi 600 anni sono andati dall’ Europa verso l’ America o vi ritornavano:  negrieri, pirati, guerrieri e condottieri di Spagna, di Francia, di Inghilterra e di Portogallo, commercianti, avventurieri, balenieri; anche di pirati del Marocco! Le luci sono abbaglianti: dopo 15 notti di quasi buio, con la luna spesso coperta da nuvolaglie e cumuloni, con microscopiche luci di qualche rarissima nave che passava a miglia di distanza, questo brillare di luci delle due città, le lunghe teorie di lampioni dei lungomari, disposti a semicerchio a dritta e a sinistra della nostra barca, beh sì, anche la luna che fa la sua parte a illuminare il braccio di mare nel mezzo –un mare calmo, increspato dal vento ma senza frangenti, i fanali rossi e verdi di due tre navi nel canale, ti fa sembrare di essere proprio sul bordo di un anfiteatro quando sul palcoscenico ti aprono il sipario dell’ inizio. Le luci non sono invadenti, niente a che fare con quelle sfavillanti, prorompenti e petulanti di una Las Vegas o di una Messina. Capisci che si tratta di una città semplice, antica, ancora mezza addormentata. Il chiarore dell’alba che inizia a spuntare fa pian piano emergere i colori bianchi e azzurri delle case, la lunga linea scura dell’ avamporto, il verde intenso del vulcano, mentre la barca scivola verso la costa. L’ odore di terra, l’ aroma di macchia ti riempie le narici e t’ entra improvvisamente dentro che tardi a riconoscerlo. L’ ordine di ammainare la randa mi riporta a bordo. Nella notte il vento era girato ancora un po’ a nord e rinforzato; la velocità era salita a 8 e mezzo in un mare via via più calmo perché sottovento rispetto all’isola e con una corrente favorevole: tutte cose che il dannato plotter non aveva tenuto in conto ( e neppure io, va beh!). Lo ringrazio per lo spettacolo che mi ha senza merito donato.

Ma forse era Horta che ci aspettava e si è messa in tiro per il nostro arrivo. C’è da aspettarselo, da un arcipelago dove le isole affondano e poi emergono e poi affondano anche nel giro di pochi anni! - Atlantide, dove sei? .

Attracchiamo che è ormai sole alto e dopo le formalità di dogana, andiamo alla marina, dove ci danno un posto libero vicino agli operatori turistici alle agenzie nautiche che fanno il “whale.-watching”. Caspita, pur le balene ci sono qui!. Dopo lavata e sistemata la barca, finalmente a terra. Paese piccolo, ordinato, gente semplice; la baia è dominata da un forte nero, massiccio, costruito nel 700 dai portoghesi per tener a bada europei e africani che arrivano fin là a razziare. Una cala ormai abbandonata per l’ alaggio e la lavorazione delle balene, ma che offre un incredibile specchio d’ acqua cristallina e calma, circondata da rocce laviche e sabbia fine. Non sappiamo resistere dal tuffarci. Poi indietro, al porto, a bocca aperta a guardare i centinaia di murales che coprono ogni spazio libero dei pontili, dei camminamenti e viottoli, dei frangiflutti. Migliaia di murlales fatti dalle centinaia di equipaggi che arrivano da ogni parte del mondo su barche da regata e da diporto.

Un talismano per il resto del viaggio, un portafortuna per un seconda volta, un trofeo per gli amici: nessuno sa come sia iniziata questa usanza. Ho visto murales datati 1950; un coppia di uno Swan italiano, barattoli e pennello in mano, è intenta a creare il suo, in uno spazio incredibilmente trovato libero; mi dicono che quello vicino, è di una coppia di ottantenni americani, che ieri, in aereo sono venuti a vedere se quello che avevano fatto loro 10 anni prima resisteva ancora al tempo. Quanta emozione e umanità in gesti così infantilmente grandi. E’ arrivata sera e ci dirigiamo per l’ happy hour in un bar, anzi “al” bar, il più mitico ( il quarto più famoso al mondo, dicono) e imperdibile per qualunque marinaio attraversi l’ Atlantico: il Café Sport, o Peter’s, come è meglio conosciuto ; fondato nel Natale del 1918, subito centro esuberante di ritrovo per marinai di transatlantici e piloti di idrovolanti che attraversavano l’ Atlantico, prosegue nel dopoguerra dando rifugio agli equipaggi di navi da guerra e cargo, e poi dei primi grandi yachts che facevano scalo per rifornirsi per la traversata. In cambio della ospitalità, tutti lasciavano e lasciano il guidone o la bandiera della nave, che Peter appende alle pareti ed al soffitto del locale. Tre generazioni di “Peters” hanno gestito questo pub, con lo stresso stile, la stessa ottima cucina, la irrinunciabile pinta di birra fresca. Tre generazioni di “Atlantic yachtsmen“ hanno arricchito di storie e di bandiere questo posto. Ci sediamo anche noi e, fatta immediata combriccola coi tavoli vicini, incominciamo a raccontarci storie di mari, di onde e di donne, a vantare eroismi e peccati improbabili, a scambiarci promesse di ritornare e di ritrovarci, tutti qui. L’ allegria è maggiore, perché sappiamo tutti di mentire. Cerco di trovare una bandiera italiana appesa alle pareti, che stranamente non c’è; c’è solo una della Sardegna, firmata dall’ equipaggio e del 2002. Chissà perché non c’è! Dopo l’ ennesima birra e impegno a ritrovarci in mare, torniamo in barca. La luna sta sorgendo dietro il vulcano Pico. Domani promette un buon vento favorevole. Abbiamo ancora 900 miglia da fare per arrivare a Lisbona.

Giancarlo P. Segatel

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